EL VEDÈLO DE ORO  di Giuseppe Segalla

 

Dal Medioevo in qua soto san Piero,

on monte caro a tuti i Lugarini,

xe sepelìo on vedelo de oro vero

che vale no so quanti bei soldini.

 

   Sicome le finanse del Comune

   e fursi anca quele dei cristiani

   le pianze e le cala fa le lune,

  par liberarse on poco da sti afani

 

bisognarìa inpiantare on comitato

che se meta a scavare soto là.

De scavi za i Busata i ghin'à fato,

ma solo can da fogo i ga… trovà.

 

   La mejo penso, chì a vardarse intorno,

   sarìa de scumissiare qua su in alto

   e nare via a spianare torno torno,

  a pico e pala al modo de on assalto.

 

Cussita on fià par volta se sgualìva

la val de l'Àstego e quela del Ciaón

e de sicuro, sensa pressa, riva

che se cata la bestia in discussion.

 

   No go l'idea se spuntarà par prima

   la coa, na recia o cossa del vedelo.

   Na bruta sensassion me fa ca stima,

  che no se vedarà gnente de belo.

 

Pitosto de ciapare quéa de l'oro,

ciapè la febre che ve arde in fronte.

Desmenteghève de chel gran tesoro

e assè che 'a bestia dorma soto 'l monte.


IL MITO DEL VITELLO D'ORO E LA VERITA' DELLA PORTA SCALIGERA di Giuliano Simonato

Il monte S. Pietro di Lugo di Vicenza è ricco di storia. Quando vi arrivarono i soldati dell’antica Roma, sulla sommità del monte vi costituirono, come pure sul cocuzzolo del vicino Castellaro, una fortificazione a difesa dei confini con le popolazioni del nord. Vi presidiavano soldati romani.

Il monte S. Pietro si chiamava un tempo Oliveto (note su “Il voto per la peste del 1630”).

Si è sempre sentito parlare che sulla sommità del monte fosse stato, in passato, adorato un vitello d’oro e lo si è sempre cercato inutilmente, pensando che sullo stesso monte fosse stato interrato.

Inoltre, esiste documentato che nel 1423 sulla contrada di S. Pietro c’erano i ruderi di un antico castello e che in esso furono trovate monete, di cui una d’oro dell’Imperatore Giustiniano. 

In un testamento del 1424 il testatore ordinò che i suoi eredi dessero mezzo “mastello” o misura di vino alla chiesetta di S. Pietro di Lugo. Tale chiesa, di S. Pietro e Paolo, costruita proprio sulla sommità del monte, era anticamente un oratorio con un convento di frati.

Si è sempre sentito dire che vi fosse stata anche una galleria sotterranea che collegasse la fortificazione di S. Pietro con quella del Castellaro. Un anziano della contrada Bernardi mi ha anche indicato con precisione il punto in cui tale galleria attraverserebbe la strada che da Lugo centro sale sino a contrada Mare (l’indicazione potrebbe essere verosimile, tenuto conto che si riferisce ad un punto in cui il sedime stradale ha da sempre teso a cedere).

Una ventina di anni fa’ un mio zio, da sempre abitante in contrada Mare, è venuto, qualche mese prima di morire, a dirmi che voleva svelarmi un segreto. Mi raccontò che all’inizio degli anni ’30 del secolo scorso, quando vi era una grave crisi occupazionale, un gruppo di forzuti giovanotti, seguendo le indicazioni fornite loro da vecchi del versante, vollero cercare di trovare il vitello d’oro. Ottenuto il consenso dei gestori del terreno, dopo molteplici tentativi di scavo, trovarono un arco fatto con sasso scolpito che faceva da ingresso ad una galleria. Vi entrarono, ma la galleria era difficilmente percorribile perché parzialmente franata (in quanto scavata non nella roccia ma in terreno friabile) e vi soffiava un’aria che faceva spegnere di continuo le torce.

Quella porta venne chiamata “Porta Scaligera” e suscitò una notevole curiosità. Mio zio mi disse che anche lui vi entrò, vedendo per terra dei pezzi di mattone ed arrivando fino ad una specie di cancello, dove inciampò e cadde e, spentasi la candela che gli serviva per vedere, con tanta difficoltà riuscì a ritornare sino all’ imboccatura. Mi disse che tale galleria attirava la curiosità di tutti i ragazzi del versante e presentava un serio pericolo per tutti coloro che vi si avventuravano.

La galleria diventò il terrore di tutti i genitori, per cui venne ben presto deciso di richiudere l’entrata della galleria ed interrare anche la “Porta Scaligera”. Ora non si rivede più nulla, ma mio zio mi ha lasciato indicazioni precise di dove si trova, reinterrata, la “Porta Scaligera”. 


SAN BASTIAN di Giuseppe Segalla

 

Co'i Lugarini, ai vinti de genaro,

su i strosi de l'antica tradission,

so' nà fin su a San Piero in devossion

de San Bastian, on santo tanto caro.

 

El posto te regala panorami

che va da Arsiero, ai Bèrici, a Bassan,

col Brenta, l'Àstego, le case de Zulian

e le Bregonse bele fa ricami.

 

On poco imbatonìo da 'sta belessa,

"Va' in cesa, – me son dito – no spetare

e sèrchete anca on posto da sentare

par pareciarte mejo a scoltar messa"

 

No credarì, ma vìnsare la Sisa

pì fàssile par serto sarìa stà:

mi dal primo minuto son restà

lì inpalà, mi e la me sorte grisa.

 

Furbissime el proverbio a ricordarse

che sona "Chi ga culo cata scagno"

le nostre sante done, par guadagno,

gavéa inpienà ogni posto da sentarse.

 

Don Piero intanto'nava vanti e indrìo

par meso i salmi, i cantici e i sequeri

e mi, in confidensa, i me pensieri

i me scapava in volta fa 'l desìo.

 

Finché, secondo l'estro del destin!,

no vali a incatijarse so la testa

de le signore nostre che par festa,

par San Bastian, le gera tirà in fin!

 

Gavìssi visto mai che canpionario,

che mostra straordinaria de criniere,

inprontà sù in mile e pì maniere

co' tute le tinte in inventario.

 

Partendo dal zaleto fiapo fiapo,

se nava vìa col malva on fià d'antan,

come che usa a La Scala de Milan

le siore alte, quele for de s'ciapo.

 

Altre gavéa puntà so on bel tigrato,

e altre ancora, ben picà a la roda

che tira vanti 'l mondo de la moda,

le gera rosse: queste sol granato,

 

quele altre varedava sol Tissiano…

Sensa dire de 'a vòja de carota

smaltà in meso a na suca pena cota

dal phon de on gran "coiffeur" nostrano.

 

Mi, stando in pìe, voltavo intorno l'ocio

so teste rùzene e teste platinate,

sui loli che rivava a le… savate

de na sposeta ancora tuta in sbocio.

 

Fin che don Piero 'nava rento e fora

dal vecio e dal novo Testamento,

seitavo a gustarme 'sto momento

de arte par cavejo da signora.

 

Son cascà giusto sora 'na gran testa

bela, tonda e frisé fa na soéta.

La paréa saltà fora lì, in direta,

o da on tigì o na soirée de festa.

 

Ghe gera teste moro-ciupinara,

teste varùsole e teste viola straco,

teste al trinciato forte de tabaco

e teste verte fora a caponara.

 

Difìssile trovare on fià de griso,

on ciufo de cavejo postà male:

teste cussita gnanca sol giornale

no te le truvi e gnanca in Paradiso!

 

Le xe come on giardin de primavera

semenà de ogni erba e de ogni fiore,

on rosario de forme e de colore

preparà con amore e arte vera.

 

Vardé par devossion de San Bastian

cossa che no le fa le Lugarine:

e come podarìsselo a la fine

no presentarse co 'na viola in man?!


L’ANTICO CROCIFISSO LIGNEO DI CONTRADA MARE di Giuliano Simonato

Mio nonno paterno abitava in contrada Mare di Lugo di Vicenza quando io bambino andavo spesso a trovarlo e lui aveva per me una particolare attenzione perché ero il suo primo nipote maschio. Lui coltivava, sul retro del capitello di contrada Mare (di cui riporto una foto attuale), un piccolo ma lungo appezzamento di terreno ricavato sopra alla strada che va verso contrada Lore e Mortisa, appezzamento ottenuto costruendo l’alta “masiera” che si può anche oggi vedere e che è stata costruita (negli anni trenta del secolo scorso) da mio padre assieme ai suoi fratelli, con i sassi lì portati con un carrettino trainato a mano dalla valle del Gorgo. Su quel terreno aveva piantato due filari di vite “americana”. Un anno che sono andato con lui in quel luogo per aiutarlo nella vendemmia mi raccontò la curiosa storia vera del Crocifisso ligneo assai grande che Domenico Dal Bianco (“Menego Braina”), per grande devozione, aveva messo a pochi metri , a lato della strada verso Lusiana, da dove noi ci trovavamo. Mi raccontò che durante la Prima Guerra Mondiale un operaio un giorno sparò un colpo di pistola contro il Crocifisso, rompendo il ginocchio sinistro di Gesù. Mi disse che al termine del conflitto Domenico (“Menego Braina”) prese il Crocifisso e lo mise dentro ad un vecchio sacco e, preso a Thiene il treno, andò a Santorso per ripararlo. Mi raccontò che il bigliettaio del treno voleva, a tutti i costi, che Domenico pagasse il biglietto anche per il sacco contenente il Crocifisso e che lui, aperto il sacco e mostratogli il Crocifisso, arrabbiato gli disse <<Eh, ostiòn! No te vorrà mìa farme pagare el biglieto pa’l Signore, ch’el xe el paron del mondo!!!>>. Riuscì così a convincere il bigliettaio a non fargli pagare il biglietto per il sacco contenente il Crocifisso. Una volta restaurato, il bel Crocifisso venne rimesso al suo posto, più bello di prima, e continuò ad attirare lo sguardo dei passanti e invitare loro a fare un cenno di saluto e riverenza. Al figlio di Domenico, Primo (“Primo Braina”), si presentò, un giorno, una persona che cercava cose vecchie, che gli offrì cinque mila lire in cambio del Crocifisso. A costui Primo gli disse <<Par sinque mila franchi a no vendo serto el Signore>>. Purtroppo, però, una quindicina di giorni dopo, il bel Crocifisso ligneo sparì. Da allora quel luogo non fu più abbellito dal bel Crocifisso ligneo, e nemmeno da un altro crocifisso. Questa bella storia vera del nonno mi lasciò l’amaro in bocca e non me la sono più dimenticata.

 

ESTRATTO DAL DIARIO DI UN SOLDATO INGLESE di Francesco Brazzale

 Inglesi sul Monte San Piéro, maggio 1918!

"Left Granezza at 9.30am in full marching order to S Pietro near Mare down the hill. Terribly hot, almost killing, marching down hill. Arrived exhausted. Bought, for five lira, oranges and ate the lot. Had a good wash, feet and shoulders, in a pool in a field. Country looking lovely, green and fresh. Terribly hot. May 21st Marched to Sarcedo in full marching order. Two hour march. Hot tea and biscuits. Left S Pietro 6am. (...)

 

 

 

 

Nella foto si vede invece il famoso Principe di Galles, poi Re Edoardo VIII, che alloggiava in quei mesi a Villa Godi di Lonedo, all'epoca Quartier Generale delle Forze Britanniche in Italia. Il militare in primo piano è del Northamptonshire Yeomanry Infantry Regiment, come si vede dalla sigla nella spalla (NIY), corpo assegnato al Quartier Generale di Lonedo.

La didascalia originale della foto recita:

"Edward, the Prince of Wales, looking through a telescope on the Italian Front. He is accompanied by a soldier of one of the yeomanry regiments, note his NIY shouldre title"

(Il Principe di Galles guarda con il cannocchiale, al fronte italiano. E' accompagnato da un soldato di uno dei Yeonmary Regiments, vedi la sigla sulla spalla)

Giusto sotto il cannocchiale del principe si nota il Castellaro, sopra si intravede la chiesa di S. Anna di Salcedo.

 

 

UN PERSONAGGIO STORICO LOCALE: “EL BADA” di Giuliano Simonato

“El Bada”, al secolo Giovanni Battista Simonato, era nato nell’ agosto del 1873 nella frazione Mare di Lugo di Vicenza. Era un bell’ uomo, alto, con la barba e i baffi. Agli inizi del secolo scorso, la fame e la mancanza di lavoro lo spinsero ad emigrare in Germania, dove vi rimase per circa 25 anni, lavorando nelle ferrovie. Al suo ritorno la gente della contrada gli diede il soprannome di “Bada”, forse perché aveva lavorato nel Baden-Baden. Quando tornò non era più quello di prima, forse cambiato per una delusione d’amore o per le umiliazioni subite in terra straniera. Aveva una casa di sua proprietà nel cuore della contrada Mare. Egli decise di vivere da eremita in fondo ad una valle (la valle Menise, sotto la strada che da Mare sale a Lusiana), in un tugurio nel bosco (un “barco”, con il tetto di lamiera e sorretto da quattro pali). Il “barco” si trovava nel terreno di sua proprietà, chiamato “Le Rive”, un terreno scosceso sorretto da “masiere” e coltivato a vigne e frutteto e situato in territorio di Lusiana. “El Bada” era allergico alla burocrazia e le lettere che gli arrivavano dal Comune di Lugo di ingiunzione di pagare il “previale” (la imposta sugli immobili) lo indussero ad abbandonare la casa nella contrada per vivere nascosto dentro la valle, in territorio di Lusiana. Nel “barco” , inchiodando delle assi sui pali di sostegno, aveva costruito due piccole stanze (una per mangiare e dormire e una per gli attrezzi). Aveva una ventina di galline (per le uova che scambiava alla bottega di contrà Mare con altri generi alimentari), dei colombi ed un cane che chiamava “Putelo”. Era amato da tutti, anziani e bambini (che andavano anche ad augurargli il “buon anno” ricevendo in dono pere e mele dolcissime). Viveva di ciò che la natura poteva offrirgli (la terra ed il bosco). Lavorava la terra in compagnia del suo cane “Putelo”e andava a lavorare dai contadini della contrada, che lo pagavano con un buon pasto e qualche fiasco di vino. Era una persona mite e che amava soprattutto gli animali. L’unica volta che si imbestialì fu quando arrivarono nel suo “barco” i carabinieri per dirgli che doveva recarsi in Comune di Lugo. Non dormì tutta la notte, perché preoccupato, e il mattino dopo scese, ovviamente a piedi, al paese, ascoltando, levatosi il cappello in segno di rispetto, le parole del Segretario Comunale, che gli disse che gli era arrivata la pensione dalla Germania, con arretrati ed una ingente somma di liquidazione per un infortunio che vi aveva subito. A queste parole “ El Bada” ebbe una reazione violenta, dicendo, in dialetto, sostanzialmente, che si lamentava per essere stato chiamato per dirgli una cosa di poco conto e che lui non era “un poro can”, che non aveva bisogno di nessuno e che lui non voleva niente. Il Segretario Comunale rimase sbalordito e non ebbe il coraggio di insistere. Conosceva tutte le erbe e i funghi ma un brutto giorno, non vedendolo, la gente della contrada scese preoccupata al “barco”, trovando “El Bada” addolorante all’addome: il veleno lo stava distruggendo. Con un carro trainato da un cavallo, di Antonio Simonato (“Toni Luserna”), venne trasportato all’ospedale di Thiene. Il suo cane “Putelo” lo volle accompagnare, a tutti i costi. Era troppo tardi e le cure risultarono inutili e il 29 settembre 1939 moriva, torturato da lancinanti dolori, “El Bada”, al secolo Giovanni Battista Simonato. Fu sepolto nel cimitero di Lugo. Il suo cane “Putelo” tornò nel “barco”, rimanendo giorni e giorni ad aspettare, inutilmente, il suo padrone. Gli abitanti della contrada Mare andarono a portargli del cibo ma, orgoglioso come il suo padrone, non volle niente da nessuno, morendo di crepacuore!!!

(riporto foto storica in cui risulta, a sinistra, “El Bada” e il suo cane “Putelo” e, a destra,“Toni Luserna” e il suo cavallo)

 

Nel 1200 ben 17 erano i “mansi” di Lugo di proprietà del monastero di Santo Stefano di Padova,